Recensione e analisi: Le dernier pharaon – Blake et Mortimer

Recensione e analisi: Le dernier pharaon – Blake et Mortimer

Attenzione: contiene spoiler.


È uscita in Francia e Belgio l’attesissima avventura di Blake e Mortimer disegnata da François Schuiten come suo personale tributo al maestro E.P. Jacobs. L’albo ha subito suscitato reazioni fortemente polarizzate tra chi l’ha trovato una delusione e un tradimento della serie “normale” e chi lo vede invece come un capolavoro di Schuiten. Vediamo di capire come stanno le cose.


Schuiten, Van Dormael, Gunzig, Durieux, Le Dernier Pharaon, Ed. Blake et Mortimer 2019, pp. 91, € 17,95 – disponibile anche in rete in 3 diverse versioni e in formato Kindle (digitale):


L’idea di questa storia nasce quando Daniel Couvreur riferisce a Schuiten di aver trovato nel 2012 un taccuino in cui E.P. Jacobs buttava giù le sue idee per possibili future storie di Blake e Mortimer. Una di queste riguardava un’avventura ambientata nel Palais de Justice di Bruxelles, in cui Olrik si nasconde nei labirinti di questo gigantesco e inquietante palazzo che domina la città col progetto di distruggere, tramite un raggio misterioso, tutte le comunicazioni radio e TV. Tanto è bastato per mettere in moto l’immaginazione di Schuiten, da sempre affascinato (come Jacobs evidentemente) da questa assurdità architettonica che sembra uscita dalla sua serie Les Cités obscures. La collaborazione con Van Dormael e Gunzig (regista e drammaturgo il primo, romanziere e sceneggiatore il secondo) ha forse contribuito a collegarsi all’avventura egizia di Blake e Mortimer, della quale sono entrambi grandi appassionati, ma probabilmente questo sarebbe successo comunque, considerando che Schuiten ha anche preso parte a due campagne della missione “ScanPyramids”, passando parecchio tempo a disegnare in Egitto, anche all’interno della Grande Piramide di Cheope. Il suo primo aggancio è infatti quell’Oubliez ! che lo sceicco Abdel Razek pronuncia alla fine dell’avventura, prima che Blake e Mortimer si ritrovino fuori dalla Grande Piramide ormai privi di ogni ricordo di ciò che è appena successo, ma con un anello al dito che conferma (anche per il lettore) che ciò che è successo nella piramide non è stato solo un sogno. Anche questo anello costituirà un elemento chiave nella nuova storia. Perché Abdel Razek avrebbe lasciato a Mortimer un anello, unica inequivocabile testimonianza fisica di un qualcosa di vissuto ma che egli stesso aveva voluto cancellare? Non escluderei affatto che Jacobs avesse intenzionalmente lasciato questo spunto aperto per potersi riagganciare in futuro con una nuova storia. Il secondo riferimento alla Grande Piramide è la celeberrima formula “Par Horus, demeure !” legata allo sceicco Abdel Razek, che avrà anche qui un ruolo importante.

La storia narrata da Schuiten è complessa e non del tutto chiara. Un misterioso raggio che esce dal Palais de Justice ha causato un blackout di tutti i dispositivi elettrici ed elettronici, la città è stata evacuata e isolata con un muro di contenimento, l’umanità è condannata a un ritorno al passato turbato da incubi ricorrenti di cui anche Mortimer è preda. Le figure di Blake e Mortimer, molto invecchiati e ormai anche un po’ amareggiati e allontanati uno dall’altro, appaiono appannate rispetto a com’erano nelle avventure di Jacobs. Tutte le figure umane dell’albo sono in effetti abbastanza fredde e inespressive, ma questa è sempre stata una caratteristica di Schuiten, i cui mondi vivono di architetture e di oggetti che amerei definire rétro-futuristi. Sarà Mortimer a riuscire a penetrare nel Palais de Justice per evitare una reazione militare dell’MI5 inglese che l’avrebbe distrutto, con conseguenze difficilmente prevedibili per l’umanità. Ma nel corso di questa lunga progressione di Mortimer verso e all’interno del Palais de Justice (ed è forse proprio questo cammino solitario che ricorda più da vicino le avventure jacobsiane, La trappola diabolica in particolare) Schuiten inserisce spunti di grande attualità, che vanno ben oltre l’ambientazione di questa storia negli anni 80/90 del secolo scorso. I giovani colonizzatori che si sono insediati tra le rovine di Bruxelles costituiscono una comunità vagamente hippy, che si lancia in una nuova agricoltura e pastorizia, gente che “non si sentiva più in accordo con la modernità, gente convinta che è possibile un altro mondo” (p. 40). L’individuo più astioso e diffidente nei confronti di Mortimer è un ex trader che ha vissuto uno dei grandi crack finanziari degli ultimi anni, e che non vuole più saperne della “vecchia” economia, delle valute elettroniche, del debito del terzo mondo, di quella che lui chiama “la tirannia”. Il tema di fondo che emerge a diverse riprese in questa storia è dunque quello della necessità del cambiamento di questa società, di un nuovo inizio. E infatti alla fine della storia, pur essendo sventato da Mortimer il pericolo di un attacco nucleare a Bruxelles, il mondo rimane comunque privo di comunicazioni elettroniche, una società che ha dovuto accettare una decrescita probabilmente felice, e che dovrà trovare un suo nuovo equilibrio. Nelle ultime due tavole si vede una scena di Londra in cui il Tamigi è ormai solcato da sole barche a vela, le strade affollate di pedoni e biciclette, e Bruxelles, anch’essa pedonalizzata, col cielo solcato da dirigibili e mongolfiere. Il pericolo è scampato, ma il blackout è permanente, non si tornerà più indietro, è stata impressa una svolta netta alla nostra civiltà: Mortimer si stabilisce a Bruxelles per vivere una nuova vita.

Credo sia sbagliato considerare quest’albo un’avventura di Blake e Mortimer, e proprio da questo equivoco nasce secondo me la delusione di molti lettori. Si tratta invece di un’avventura delle Cités obscures in cui Schuiten ha voluto rendere un grande omaggio al suo maestro Jacobs. L’ha fatto con un lavoro grafico formidabile (che non ha nulla a che vedere con lo stile di Jacobs), con intelligenti agganci all’avventura egizia di Jacobs e ai temi cari a Jacobs (archeologia, fantascienza, civiltà minacciata) aiutato dal suo team e dai fantastici colori di Durieux, che funzionano in realtà come un completamento del disegno, portando ad un risultato eccezionale, ad un’opera di grande respiro e fascino, pur se con alcuni aspetti non chiariti e con alcune sviste grafiche che si potevano evitare. Cito a questo proposito il Land Rover Defender a p. 19, che nella prima vignetta è un passo corto con due finestrini laterali, per poi diventare un passo lungo con tre finestrini nelle vignette successive. È pur vero che anche il grande Jacobs ogni tanto si dimenticava che in Gran Bretagna le auto hanno il volante a destra, ma chissà perché oggi sviste del genere appaiono meno scusabili di un tempo.

Questa avventura è anche oggetto di una mostra a Bruxelles, alla Maison Autrique, 266 Chaussée de Haecht, fino al 19/01/2020. Click per i dettagli della mostra:

Guido Vogliotti

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July 31, 2019 at 07:56AM ifttt

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