Dal 4 luglio a Bisceglie il meglio dell’Animazione italiana svela le proprie “Stanze”

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Dal 4 luglio a Bisceglie il meglio dell’Animazione italiana svela le proprie “Stanze”

STANZE ANIMATE, TRA MATERIA E ILLUSIONE

L’animazione italiana d’autore e sperimentale ha da sempre espresso autori di grande originalità e rilievo, intenti a confrontarsi con le tecniche “non ortodosse” più diverse, dal disegno alla computer animation. La mostra Stanze animate, allestita nelle sale di Palazzo Tupputi, è una collettiva di autori, che hanno tutti debuttato sulla scena tra gli anni ’90 e i 2000; una mostra esemplificativa di un immaginario ricco e stratificato, diverso per stili, tecniche, poetiche.

Gli artisti invitati espongono disegni utilizzati per i loro film animati (Donato Sansone, Virginia Mori), dispositivi cinetici che si ricollegano alla stagione del pre-cinema (Virgilio Villoresi), light box con strisce di pellicola rielaborate manualmente che hanno originato opere audiovisive come Jazz for a Massacre (Leonardo Carrano), una versione installativa doppio canale del film Halphabet (Basmati), stampe digitali di lavori in 3D, un’installazione e soprattutto una sorta di videomapping (una riproposizione del video monocanale Planets) che espande la mostra al di fuori delle stanze di Palazzo Tupputi, portando l’animazione nelle strade del centro storico (Igor Imhoff).

I quadri, i disegni, le stampe e gli oggetti sono messi a confronto con le immagini in movimento in modo da tracciare un percorso spazio-temporale e bi-tridimensionale, che introdurrà lo spettatore in un universo fantasmagorico, in cui il segno si intreccia con l’anima (nel senso di coscienza ma anche di animazione), l’analogico con il digitale, la stasi con il movimento. Il titolo Stanze animate allude allo spazio espositivo che, grazie alle immagini e ai dispositivi in azione, acquistano un’inevitabile energia cinetica; ma la parola rimanda anche alla wunderkammer, ovvero alla camera delle meraviglie, alle gallerie di curiosità e alle collezioni di oggetti diffusesi tra il XVI e il XVIII secolo e che sono all’origine degli stessi spazi museali. Molti animatori, del resto, pensiamo a Villoresi, sono essi stessi collezionisti di oggetti e giocattoli cui infondono vita nei loro brevi film. Il termine “camera” infine, nella nostra lingua non è solo sinonimo di stanza, ma anche di cinepresa, dispositivo che, nelle mani di questi artisti, diventa un’ulteriore “camera delle meraviglie”, in grado di affascinare e sollecitare lo stupore del pubblico di ogni età.

I cinque artisti e il marchio Basmati (composto da Saul Saguatti e Audrey CoÏaniz), sono portatori di un’estetica – come spesso accade quando si parla di animazione sperimentale – sospesa tra materico e virtuale. Se i disegni di Virginia Mori (che è anche illustratrice) sono creati a matita o china, in bianco e nero con l’aggiunta di pochi tocchi di colore, le stampe della serie Fragment di Igor Imhoff, sono invece il frutto di elaborazioni 3D che sfruttano il glitch, ovvero il disturbo, l’interferenza digitale, rendendola una materia quasi scultorea da plasmare creando ritratti di vario tipo. E se gli schizzi e i disegni di Donato Sansone, irriverenti, a volte pornografici, sottolineano la sua attitudine ludica, pauperistica e surreale, ricordandoci che la base di qualunque idea da cui si sviluppa un film di animazione dipende unicamente dal potere e dall’originalità del segno, l’installazione di Basmati prosegue nella direzione intrapresa da molti anni in cui immagine fotografica, intervento pittorico ed elemento grafico (in questo caso il linguaggio dei gesti, i segni, la scrittura) si mescolano e interagiscono creando a volte piccole narrazioni.

Il confronto tra opere e immagini audiovisive non deve apparire come una scontata equivalenza tra un prima e un dopo. Il movimento è insito già nella composizione “fissa”, perché nell’immaginario di un artista che lavora con l’animazione i tratti sono già pregni di dinamismo. Ma il segno – installazioni video a parte – si fa, in diversi casi, oggetto vero e proprio, rimembrando tecnologie antiche eppure sempre attuali, secondo quella archeologia dei media di cui non potremmo davvero fare a meno, specialmente in un’epoca di perfezione digitale che tende ad appiattire ogni cosa (inclusa la nostra percezione delle immagini). Attestano questa poetica dell’analogico le macchine cinetiche di Virgilio Villoresi, flip book scultorei che si sfogliano grazie a dispositivi meccanici nell’ambiente di fronte agli occhi dello spettatore estasiato. Mentre le light box di Leonardo Carrano – su cui sono montate strisce di pellicola dipinte e graffiate a mano o trattate con acidi e altri solventi – celebrano l’apologia di un colore che diventa luce, offrendosi come cinema “esposto” che si mostra anziché nel tempo nello spazio, secondo la tradizione di grandi artisti/cineasti sperimentali come Kubelka e Sharits.

Stanze animate è solo parte di un dialogo, di una jam-session cinetica di forme e colori espandibile all’infinito e che, prima o poi, dovrebbe configurarsi come grande retrospettiva storicizzata, in modo da poter ricostruire attraverso film e opere un percorso che, partendo dal Futurismo arrivi fino ai giorni nostri. Stanze animate, inoltre, serve a ricordarci quanto nel nostro paese l’animazione sia ancora estremamente viva ma forse non abbastanza conosciuta e riconosciuta nei contesti museali ed espositivi più in generale e ha bisogno di una seria riconsiderazione storico-critica, per poter ripensare il concetto stesso di arte.

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